Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 febbraio 2015

Ma la diplomazia non ferma gli sbarchi dei clandestini
il Mattino, 19-02-2015
Alessandro Campi
Per il mondo in senso lato occidentale, la minaccia che viene dalla Libia, dove sta crescendo la presenza dei combattenti che sostengono il Califfato, ha a che vedere essenzialmente con il rischio che il terrorismo islamista ispirato da Al Baghdadi possa stabilmente insediarsi al centro del Mediterraneo, facendone la base ideale (anche dal punto di vista simbolico) per la sua proiezione propagandistica e militare verso l`Europa. Per l`Italia, il pericolo che deriva dal caos libico è invece doppio e dunque più grande che per altri Paesi. Alla questione della sicurezza e del contrasto al terrorismo, che ha già imposto ovunque nel continente uno stato di crescente allarme per la paura di attentati, da noi si aggiunge infatti quella di un`immigrazione clandestina che per i gruppi armati che la organizzano e la gestiscono non è più solo un redditizio affare economico. >Segue a pag. 46.
Ma è diventato anche un formidabile strumento di pressione mediatico-demografica dagli effetti sociali e politici in prospettiva destabilizzanti.
È il problema enfatizzato in queste ore soprattutto dalla Lega di Salvini, che ne sta facendo un efficace tema di agitazione elettorale, ma che nessuna forza politica - tanto meno quelle che hanno responsabilità di governo - può a questo punto sottovalutare. La scelta di imbarcare i clandestini con la violenza e di spedirli a migliaia verso le coste italiane, anche con condizioni del mare proibitive, è già una forma indiretta di terrorismo. Una forma di terrorismo peraltro facilmente predetta da Gheddafi, poco prima che venisse abbattuto, come strategia d`attacco verso il nostro Paese.
La drammatica consapevolezza, maturata nelle ultime settimane, di dover affrontare questi due problemi in modo congiunto e nel più breve tempo possibile spiega probabilmente il modo oscillante, persino avventato, ma a suo modo perentorio e tempestivo con cui il governo italiano, contrariamente al modo d`agire dilatatorio e obliquo tipico della nostra classe politica, ha preso posizione sulla questione della Libia: prima lasciando intendere di essere addirittura disponibile ad un intervento militare diretto come risposta inevitabile ad una minaccia crescente, poi invocando la copertura dell`Onu e della comunità internazionale in caso di azione militare, infine virando sulla soluzione politico-diplomatica e sulla ricerca di una mediazione tra le diverse fazioni che attualmente lottano all`interno della Libia. Atteggiamenti e soluzioni diversi, ma sempre nel segno di un`estrema urgenza.
La ricerca di un accordo tra il Parlamento di Tobruk e quello di Tripoli per la creazione di un governo di unità nazionale, considerata come la condizione necessaria per frenare l`infiltrazione dell`Is tra i gruppi del radicalismo islamico, è la strada concordata alla fine dall`Italia insieme ai suoi alleati (come ha spiegato ieri il ministro degli esteri Gentiloni dinanzi alle Camere) e ufficializzata sempre ieri anche dal Consiglio di sicurezza dell`Onu. Si teme, evidentemente, anche alla luce dell`esperienza del passato, che un intervento militare sul suolo libico - anche se reso legale da una risoluzione delle Nazioni Unite e anche se condiviso con altri Paesi arabi (a partire dall`Egitto) - possa favorire la convergenza, in chiave nazionalistica e anti-occidentale, di tutti i gruppi più meno legati al fondamentalismo islamico, sino a spingerli definitivamente tra le braccia dell`Is.
Ma è una strada, quella negoziale, non solo difficile, lunga e a serio rischio di fallimento, vista la mancanza in Libia di interlocutori che siano al tempo stesso facilmente identificabili, sicuramente affidabili e soprattutto in grado, viste le divisioni tribali e il frazionamento delle forze, di mantenere gli impegni eventualmente assunti. È anche una strada che, persino nel caso si rivelasse risolutiva, potrebbe non compensare gli sforzi necessari all`Italia per fronteggiare - senza alcun aiuto internazionale, come si è visto in queste settimane - l`emergenza degli sbarchi sulle sue coste e l`arrivo di clandestini tra i quali potrebbero, a questo punto, facilmente infiltrarsi delle cellule terroristiche. Insomma, un beneficio futuro peraltro assai incerto, vale a dire la stabilizzazione politico-militare della Libia per via diplomatica, potrebbe non bilanciare un danno sicuro nell`immediato per l`Italia: la cresciuta esponenziale sul nostro territorio di immigrati clandestini che non pochi problemi rischiano di causare all`ordine pubblico, senza considerare il collasso ormai imminente della nostra rete assistenziale, i costi crescenti per casse pubbliche e infine la beffa di vedersi addossare sulla coscienza, agli occhi del mondo, le morti della centinaia di sventurati che purtroppo non si riesce a strappare al loro tragico destino.
Ciò significa che mai come in questo momento l`Italia, proprio perché in prima linea e più esposta di altri Stati, ha tutto il diritto di far valere le sue ragioni nelle diverse sedi internazionali, di essere attivamente coinvolta nelle decisioni che verranno adottate e soprattutto di premere perché si agisca in Libia - per via politica o militare con la più grande rapidità.
Terrorismo e immigrazione sono beninteso due fenomeni assai diversi e sarebbe un errore assimilarli in astratto, come una certa propaganda politica di stampo populista tende a fare allo scopo di suscitare allarme tra i cittadini e di lucrare sulla paura che quest`associazione inevitabilmente genera. Ma in questo momento, nel crogiolo libico essi si sono drammaticamente fusi, dal momento che il primo sta platealmente usando la seconda come un`arma, per neutralizzare la quale ormai non bastano più gli interventi in chiave umanitaria o di assistenza. L`Italia lo ha capito, a sue spese, e si sta ponendo il problema, non privo di dolorosi risvolti etici, di come si possa passare dai salvataggi in mare ad un`azione di contrasto, anche militare, che impedisca - almeno sino a che la situazione politica della Libia non si sarà chiarita - gli imbarchi forzosi di popolazione dalle sue coste. Ma è bene che a questo punto lo capiscono anche l`Europa e tutti i nostri alleati, evitando di lasciarci soli ad affrontare un problema che in prospettiva potrebbe diventare foriero di pericoli per tutti.



Immigrati, Le Pen all'Ue: "Sospendere Schengen e chiudere le frontiere"
"La catastrofe che vediamo oggi in Libia ha un solo colpevole: Sarkozy". Ecco le quattro proposte della Le Pen per risolcere l'emergenza
il Giornale.it, 19-02-2015
Sergio Rame
Marine Le Pen torna ad alzare la voce contro quell'Unione europea che è tra i principali colpevoli dei continui sbarchi di clandestini e della mancate misure per contrastare il terrorismo islamico. "La catastrofe che vediamo oggi in Libia ha un solo colpevole: Nicolas Sarkozy", tuona la leader del Front National in un’intervista a Repubblica da cui invita l'Europa a chiudere le frontiere.
E intima: "È interesse di tutti non partecipare a questa guerra".
"La Francia non deve impegnarsi nel conflitto libico - spiega la Le Pen - è la comunità internazionale che deve intervenire, tagliando i flussi di finanziamento all’Isis". Alcuni Paesi con cui la Francia intrattiene relazioni diplomatiche hanno, infatti, un atteggiamento ambiguo nei confronti dello Stato islamico. Tra questi c'è sicuramente la Turchia. Per questo, a detta della leader del Front National, l'Eliseo non deve rimanere "alleato con Paesi che sono compiacenti con l’Isis, per non dire complici".
Per la Le Pen, in Libia sarebbe stato meglio lasciare il rais Muhammar Gheddafi al potere. "Il regime libico era autoritario, ma laico - fa notare nell'intervista a Repubblica - riusciva a tenere insieme le diverse minoranze e a controllare i flussi migratori. La geopolitica è la scelta del meno peggio. Gheddafi era meno peggio dei fondamentalisti islamici". Ora, per difendere l'Europa da nuovi attacchi, serve una politica radicalmente diversa. "Non iniziative risibili come il sito lanciato dal governo francese stop jihadisme, le giornate della laicità o della fratellanza - fa notare la Le Pen - non è con i buoni sentimenti che combatteremo il terrorismo".
La leader del Front National ha presentato quattro proposte per sconfiggere il jihadismo: "rivedere le alleanze internazionali", bloccare l’immigrazione e sospendere il trattato di Schengen, lottare "contro le divisioni comunitarie e qualsiasi violazione della laicità" e aumentare i fondi da destinare esercito, polizia, servizi segreti "abbandonando l’austerity imposta dall’Ue che minaccia la nostra sicurezza".



Immigrazione: nuovo assalto a Melilla
Entrati una trentina di subsahariani
(ANSA) - MADRID, 19 FEB - Nuovo assalto all'alba di oggi da parte di un centinaio di migranti alla frontiera di Melilla, l'enclave spagnola in Marocco: una trentina di subsahariani è riuscita a scavalcare la barriera frontaliera e passare in territorio spagnolo, mentre un gruppo di 20 migranti si trova da ore sull'alta rete metallica di protezione, all'altezza del valico del Barrio, informano fonti della prefettura locale.
    


Grecia, centro di detenzione di Amygdaleza - La protesta dei migranti: "Freedom, we die here"
Il governo Syriza si impegna per sua chiusura in 100 giorni e per la chiusura di tutti i centri
Melting Pot Europa, 17-02-2015
250 container, alte recinzioni e filo spinato, 1.662 migranti rinchiusi, condizioni di vita disumane: benvenuti a Amygdaleza, benvenuti all’inferno.
Il centro di detenzione per migranti di Amygdaleza, si trova a nord di Atene. E’ stato il primo centro, aperto nel 2012, per "trattenere" i migranti entrati "illegalmente" in Grecia. Teatro di scioperi della fame, suicidi e proteste dei detenuti (soprattutto pakistani e bangladesi) rinchiusi in celle di 9 metri quadri da condividere in 4 persone.
L’ultima rivolta è di qualche giorno fa, venerdì 13 febbraio, dopo l’ennesimo suicidio di un giovane pakistano. Aveva 28 anni, ha usato un asciugamano per impiccarsi dal suo letto a castello. Era stato arrestato il 12 dicembre a Rethymno, Creta e trasferito a Amydgaleza venerdì. E’ il quarto migrante a morire al centro dalla scorsa estate e il secondo a perdere la vita la settimana scorsa.
Migliaia di immigrati, soprattutto asiatici e africani, scelgono la Grecia come paese di passaggio per entrare in Europa.
Una norma approvata dal governo precedente, all’inizio dello scorso anno, permette di prolungare il periodo di detenzione nei centri in maniera indefinita, in Grecia quindi non ci sono più limiti di tempo alla detenzione che l’Unione Europea fissa in un massimo di 18 mesi.
"Mi vergogno come essere umano", ha detto Yanis Panusis, Ministro per l’Ordine pubblico del nuovo governo Syriza, dopo aver visitato il centro sabato scorso. Panusis ha poi assicurato l’impegno del governo nel voler chiudere i centri di detenzione.
Entro 100 giorni il Ministro promette la chiusura di Amygdaleza e si impegna ad accelerare il processo per l’apertura di tre centri di accoglienza aperti.
"Amygdaleza e le altre strutture di questo tipo, non si possono "riformare", ha detto Panusis, "non c’è possibilità tecnica di usare questi spazi per installare nuovi centri aperti, per cui l’unica soluzione è la loro chiusura. Faremo quanto abbiamo detto prima delle elezioni, faremo quanto abbiamo detto in Parlamento".
"Sono venuto a esprimere la tristezza e il dolore del Ministero e del governo", ha detto, «ma ora esprimo la mia vergogna, non come ministro, ma come un essere umano, come rappresentante di una civiltà."
L’intero sistema sarà ridiscusso con il viceministro per l’Immigrazione, Tasia Christodoulopoulou.
Durante la visita del Ministro a Amygdaleza fuori si svolgeva un sit-in di protesta ed altre iniziative in solidarietà coi migranti sono previste in diverse città della Grecia il 17 febbraio.
"Please, help us" è il grido di disperazione che arriva da Amygdaleza. Sono le stesse parole scritte in un italiano stentato dai rifugiati che protestano a Vittorio Veneto per le inaccettabili condizioni in cui vivono. Sono gli stessi sguardi che ritroviamo in questi giorni guardando le immagini che arrivano da Lampedusa, ai quali abbiamo la responsabilità di rispondere con una politica diversa, attenta alle vite di chi è costretto a lasciare il proprio paese per la sopravvivenza.

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